“OLTRE IL SILENZIO. VERSO UN MODO PIÙ A MISURA D’UOMO”

“Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.”, si legge nelle “Ecclesiaste”.
E poi ecco Qohelet a intonare la splendida anafora.

“C’è un tempo per…”

“C’è un tempo per nascere e un tempo per morire”. Chi non l’ha mai sentita? Ma quanto terribile risuona in questi giorni, in cui gli occhi sono colmi dello strazio di immagini, che gridano per lutto e pietà? “Un tempo per piangere e un tempo per ridere”, si dice; e, più oltre, “Un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci” – oggi così terribilmente attuale… “Un tempo per stracciare e un tempo per cucire” e, finalmente: “Un tempo per tacere e un tempo per parlare.”.

La verità è che nessuno nasce con le “istruzioni per l’uso”

Così, al netto delle regole normate dai differenti sistemi socio culturali, poi non esistono leggi auree scritte nella pietra – e nella vita, per lo più, ciascuno improvvisa, cerca di fare del suo meglio, navigando a vista come nani sulle spalle di quei giganti, che sono la summa dell’esperienza di coloro che ci hanno preceduto.

Così alcuni hanno pensato che, in questa quarantena, una buona idea fosse tener alta la motivazione – e l’appartenenza, contro il rischio solipsistico della parcellizzazione -, organizzando flash mob partecipativi. Altri hanno gridato allo scandalo di fronte alla moltitudine “festante”, nonostante il divampare di una pandemia, che si faceva ogni giorno più vorace.

E la questione se l’è posta anche il Teatro: tacere o parlare?

Produrre contenuti “surrogati” – pur nella consapevolezza che solo questo sono, ma con l’intento di non interrompere, per quel che si può, il contatto col pubblico, irrinunciabile terminus ad quem del gioco del teatro – o non produrne affatto, dal momento che, “se non è dal vivo, non è Teatro”?

L’ho ribadito in più occasioni, il mio pensiero: sia qui che ospitata su “Rumor(s)cena”, a “controcanto” dell’invece ben differente punto di visto di Roberto Latini, ad esempio; e, però, continuo a ritrovarmi di più nelle parole di Elena Bucci.

La Terza Via

Poi, però, mi è capitato di contattare un Massimiliano Speziani, un attore, di cui ho grande stima.
Ricordavo un passo di “Questi Amati Orrori” di Renato Gabrielli, uno spettacolo di moltissimi anni fa, in cui già splendidamente rappresentava la fatica e l’usura del mestiere del dottore. Mi è parso attualissimo e volevo sapere se sarebbe riuscito a girarmene un contributo video per poterlo condividere. Purtroppo, no. Eppure lui, schivo e non frequentatore dei social, mi ha regalato parole preziose e riflessioni, su cui credo valga la pena soffermarsi: e che, con piacere, a mia volta regalo a voi.

Ciao, Francesca, questa foto che vedi è l’androne del cortile del palazzo in cui vivo…

Qui dal 14 marzo, più o meno, dopo che ho finito la tournée de “La tragedia del Vendicatore” a Londra, ogni giorno verso le diciotto, diciotto e trenta, ho iniziato. Non vado in streaming, non vado sui social, non vado su nessun… mezzo di promozione sembra schernirsi. Ma qui, dal balcone o dalla finestra, rispettando la distanza di sicurezza e senza creare assemblamenti (semplicemente i condomini si affacciano), per dieci minuti/un quarto d’ora […] leggo delle poesie, dei racconti, interpreto dei piccoli pezzi. E sembra che questo teatro condominiale fatto ancora di persone “vive” – trasale; si ferma: si rende conto del possibile infelice bisticcio di parole e se ne scusa – di “presenze”, comunque, “in carne ed ossa”, per me è di un grande aiuto e, credo, anche per loro. Credo che questa cosa un po’ più… “semplice” – indugia un attimo, nel cercare la parola più adatta – possa tener desta qualcosa di cui avremo ancora bisogno, di cui abbiamo ancora bisogno. Niente, solo per dirti con cosa, in un certo senso, cerco di mantenermi in una relazione che andrà poi ricostruita. Andrà poi ripensato, il teatro, pensando a qualcosa di più microscopico, che non bada ai numeri, ma bada alla qualità del contatto. Non è facile, ma può essere di grande aiuto.”

La bellezza del piccolo e l’importanza del a misura d’uomo

Ho trovato bella questa riflessione sull’importanza del tener viva quella “relazione”, che, per chi questo mestiere lo fa per esigenza vocazionale, non è soltanto una pur legittima fonte di sostentamento. Ho trovato prezioso il soffermarsi su un umanissimo reciproco bisogno di condivisione e contatto, al netto delle (altrui) pur legittime intenzioni “promozionali”. Ma, soprattutto, ho trovato davvero squisita quest’attenzione e cura nello scegliere le parole e nel porgerle nel modo più garbato e attento a creare, costruire e gettare le fondamenta di una modalità più “a misura d’uomo”.