“Dr.Nest” e la sofisticata semplicità di Familie Flöz

C’è tutta la scanzonata poeticità apparentemente non sense di Familie Flöz, in questo “Dr, Nest”, in scena al Teatro Menotti di Milano dal 23 al 28 gennaio 2024. C’è tutta l’ironia garbatamente irriverente della grande tradizione clowneristica, sì, ma non mancano nemmeno quei preziosi bagliori di disincantata verità, che lo scherno del lazzo prontamente volge in burla, senza per questo smorzarne il persistente pulsare…

Stralunata e giocosa invasione di campo

Il clown, si sa, è il guastatore per antonomasia: se vuoi startene in disparte, per ciò stesso sei il candidato ideale delle sue bonarie monellerie – e, se non stai al gioco, scherzosamente diventi tu il suo giocattolo preferito. Ed ecco che, in ossequio a questa lex aurea, lo spettacolo si apre con una giocosa, stralunata invasione di platea. Una spettacolare arrampicata fra le teste del pubblico, in acrobatico equilibrio fra le spalliere delle poltroncine rosse, nel gioco mimato di vidimare i biglietti.

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È già questo un primo assaggio della temperie, ma anche della capacità mimica e performativa, di questa compagnia capace di parlare a spettatori dai linguaggi più diversi, grazie al suo muto gioco dalla prossemica dalla platealità calibratissima.

Uno spettacolo dalla precisione binaria

Accolti in teatro da quest’azione scenica espansa – anche altri, i germi giocati in platea -, il pubblico si sente già coinvolto in quello, che, d’ora in poi, verrà agito solo sul palco.

Con cadenzialità ortogonale si alternano, nella poeticissima narrazione drammaturgica, i giorni e le notti. Gli uni sono rischiarati dalla luce straniante di un reparto psichiatrico d’antan, con tutti i cortocircuiti non sense delle dinamiche dei cosiddetti matti.

Le notti scolorano invece nel tempo blu del sogno dall’emozionalità quasi struggente. È il tempo del volteggiare delle scenografie, per i cambi di scena, ma che, complici anche le musiche ampie e struggenti e il suono acuto e un po’ sinistro di quel theremin suonato dal vivo dalla donna in nero, si caricano, fin da subito, di sinistri presagi.

Sofisticata semplicità apparente

È così, che si snocciola, questa storia dalla trama circolare, che idealmente inizia e termina con la stessa immagine del protagonista nel letto d’ospedale. Il foglio di sala ci svelerà essere il sogno au rebours del Dr. Nest, il personaggio, appunto, che dà titolo alla pièce. Eppure noi, che il foglio di sala amiamo leggerlo solo alla fine, non fatichiamo a lasciarci trasportare dalla poeticità rarefatta, onirica ed essenziale di questo incipit, indovinandone comunque la trama.

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Pur abdicando all’uso di parole e mimica facciale, fin da subito i poliedrici performers riescono a farci arrivare il loro racconto in modo forte e chiaro. In testa i loro caratteristici testoni maschera, è la straordinaria plasticità mimica a compensarne l’inespressività. Le loro movenze, acquisiscono così quell’area stralunata e quella pacatezza straniante, che non può non far cortocircuitare in liberatoria risata i nostri ingessati stilemi sociali comportamentali. Conseguente, la spontanea ilarità, che spesso s’impossessa di noi di fronte ad agiti inaspettati o che fatichiamo a inquadrare in comportamenti socialmente codificati ergo decodificabili.

Eccola, la magistrale messa a frutto della lezione della Folkwang Hochschule di Essen (l‘unico istituto di formazione statale per il teatro di espressione corporea in Germania). Così l’eco della Commedia dell’arte e delle maschere della Fastnacht nella Svevia precipitano, insieme all’evidente imprinting della clownerie del novecento, nella loro singolare e felicissima cifra.

Il messaggio forte della clownerie engagée

La trama rievoca la versione pacificata di quel capolavoro cinematografico dell’espressionismo tedesco, che fu “Il gabinetto del dottor Caligari” – simile per ambientazione e similmente giocato sui temi del sogno, del ricordo e del doppio -, ma è nelle pieghe delle micro azioni, che si annidano quei germi di pensiero e di critica sociale, che ci rievocano l’altro caposaldo – della drammaturgia, stavolta, tedesca -, che fu Bertolt Brecht. Già perché, ridendo e scherzando, “…Pucinella diceva la verità”, avrebbe chiosato un celeberrimo adagio della tradizione partenopea. E, in effetti, pur nella leggerezza scanzonata della loro clownerie, i Familie Flöz accarezzano temi non facili: dal trauma, al born out fino alla fatica – psicologica, oltre che esistenziale – di chi, direttamente interessato o professionalmente coinvolto, con il disagio psichico ha a che fare tutti i giorni. Se ridiamo per l’eccentricità dei personaggi che sfilano in quell’universo parallelo e apparentemente così lontano da noi, non possiamo non empatizzare – e, chissà, a tratti identificarci – con quei figuri singolari e caricaturali, capaci, però, di strapparci attimi preziosi di emozione autentica. E, alla fine, siamo noi, la donna a lutto, che suona l’impalpabile theremin come in struggente memoria del suo amore divorato dalla vocazione di medico; noi, quell’improbabile nido – in tedesco Nest -, che accoglie, raccoglie e stringe a sé e fra loro, quell’umanità in fondo così terribilmente simile a ciascuno di noi.