Primo giro di teatri dopo la riapertura: voglia di leggerezza, make a wish…

Che il 2020 resterà probabilmente marchiato a fuoco, sui libri di storia, come un annus horribilis non occorre una Cassandra per indovinarlo: la pandemia, tre mesi di lockdown (e ancora chi può dire di esserne realmente fuori?) e un’onda lunga dalle conseguenze disastrose in ambito economico – ergo sociale – mondiale. Già, perché se la tanto acclamata globalizzazione ci aveva dato l’illusione che tutto fosse prossimo e davvero a portata di mano per chiunque, questo inizio del nuovo decennio ci ha mostrato il rovescio di quello che si pensava fosse solo un paternalistico adagio. “La Cina è vicina” si è rivelata una di quelle profezie, che non si vorrebbero mai veder realizzate…

In tutto ciò, il teatro non poteva certo non rimanerne coinvolto.

C’è una data, il 15 giugno 2020, però, che decreta la possibilità di tornare a fare teatro.

Sebbene ancora non sia un festoso liberi tutti (come si diceva: chi può dire di esserne realmente fuori?), di certo è un primo segno. Da parte delle istituzioni, mostra una pur cauta fiducia a che si possano rischiare assembramenti – senza koiné, del resto, non c’è teatro, sia pur rigidamente disciplinati. Ma il vero atto di coraggio è stato quello dei teatri, che hanno deciso la messa in scena di spettacoli dalla valenza puramente simbolica e testimoniale. Lungi da qualsivoglia calcolo di sostenibilità economica, è chiaro che sono stati mossi solo dal desiderio di dare un segno forte di resistenza, prima ancora che di ripresa.

Teatro Menotti, 15/06/2020, ore 00:00

A inaugurare la danze, il Teatro Menotti, allo scoccare della mezzanotte di quello stesso 15 giugno 2020, e poi, via via, gli altri. Come in una commovente alzata in piedi alla Capitano, mio Capitano! (chi non ricorda la toccantissima e forse un po’ utopica scena de L’attimo fuggente?),alcuni teatri hanno sfidato la (forza di) gravità di condizioni per tantissimi aspetti avverse, pur di esserci. Non un sacrosanto calcolo alla show business (cosa che un certo teatro, soprattutto, stenta ancora a imparare… ma che, forse, è proprio una delle poche competenze da acquisire, se si vuol riuscire ad avere voce e contrattabilità in dinamiche spesso giocate sul filo del pil), ma il generoso e disinteressato slancio, che è valore aggiunto di quel teatro, troppo spesso pronto a barattare il deflagrare di un’emozione forte, autentica e condivisa, con un non sempre solo simbolico tozzo di pane.

Una curiosità: a scendere in campo il Comune (con l’ormai tradizionale rassegna Estate Sforzesca) e i teatri maggiori (il Piccolo Teatro, con la sua stagione estiva, in parte al Chiostro Nina Vinchi, in parte in un circuito condiviso con alcuni municipi milanesi e il Teatro Franco Parenti, nella suggestiva location dei Bagni Misteriosi), ma, per converso, anche gli spazi più “piccoli” oltre alla resiliente realtà di Olinda col suo ultra ventennale festival Da Vicino Nessuno è Normale, che dal 1996 ha trasformato il motto di Basaglia in un evento teatrale inclusivo e multidisciplinare. Anche Pacta dei Teatri ha voluto dare un segno forte, inventandosi la rassegna Teatro a Cielo Aperto (tre spettacoli per adulti e tre per bambini); accanto a lei spazi “giovani” (da Alta Luce Teatro a factory32, fino a Cielo Sotto Milano) – “giovani” spesso per l’età anagrafica di chi li ha voluti, oltre che per le poche stagioni, che porta sulle spalle.

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Da sinistra Benedetta Borciani, Lucrezia Piazzolla e Beniamino Borciani

È stata una festa – lo dice lo stesso titolo –, la Festa in Mascherina, andata in scena, a Cielo Sotto Milano, lo scorso 25 giugno. A differenza della gran parte degli eventi di questo post lockdown, il tutto si è svolto non en plein air, ma nel loro spazio (opportunamente ripensato e disposto), sito nel mezzanino del passante ferroviario di Porta Vittoria. Sold out è stata la parola chiave di questo giro di eventi. Complici un po’ la voglia di riabbracciarsi da parte del pubblico di affecionados messo a dura prova dalla quarantena e un po’, forse, anche l’indubitabile falcidia dei posti disponibili imposti dalle normative Covid correlate, spesso la scelta è caduta sulla doppia replica, proprio per venire incontro il più possibile alle richieste. Un paio d’ore di pura leggerezza: arguta, sorniona, fresca, spiazzante, stralunata e surreale come da loro cifra. Il plot è presto detto: riprendere la stagione da dove si era interrotta, offrendo al pubblico pillole, estratti o suggestioni di quello che non hanno potuto vedere (e che, probabilmente, potranno recuperare nella prossima stagione). Sullo sfondo sempre lui: il Covid, meglio, il Giuseppi (con evidente al riferimento al Ministro Giuseppe Conte), sua quasi ieratica emanazione, con la fittissima sequela di campane, sirene, virologi, bollettini. norme, disposizioni, dictat, proclami, indicazioni, regole ed eccezioni a disciplinare in modo assurdo, distonico ed esilarante le esistenze di tutti noi. Ancor più parossistico, poi, si fa il tutto, quando si cerca di attenersi a quanto disposto dal Dpcm 11/06/2020 in materia di agibilità sul palcoscenico. L’esito? Un crescendo surreale, che, passando dalla messa alla prova della fattibilità di opere teatrali quali il celeberrimo “Romeo e Giulietta”, approda a una nevrotica filastrocca a La fiera dell’Est, in cui, però, fanno capolino pipistrelli, pangolini e fantastiche creature (e disposizioni) di ogni genere. A completare la generosa prova da really show men (e women) dei fantastici quattro (i fratelli e figli d’arte Benedetta e Beniamino Borciani, accompagnati al pianoforte da papà Mario, maestro del Conservatorio, e supportati alla regia da mamma Anna Zapparoli, gli ormai familiari Lucrezia Piazzolla e Lorenzo Bonomi), gli inserti al pianoforte degli attempati, ma scatenatissimi maestri Bruno Canino e Antonio Ballista, oltre che dello struggente violino di Cesare Zanfini Ferraresi e dall’iniziale boutade comica di Annagaia Marchioro.

 

 

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Valentina Pescetto offre la caramella “make a wish”

Tutt’altra aria si respira a factory32, recentissimo teatro in via Watt, ricavato da un ex stabilimento di tappeti, un paio di anni fa soltanto. Intanto, qui, siamo all’aperto, secondo, poi, la scelta si gioca su binari diversi.

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Carlo Decio

Tre spettacoli in tre week end consecutivi, portando in scena monologhi, che nulla hanno a che fare con la programmazione teatrale interrotta. Certo, i nomi di Carlo Decio e Martino Corti li avreste letti anche sul libretto di stagione; eppure i titoli accanto a questi nomi sarebbero stati differenti. A inaugurare la riapertura, al suono di make a wish (questo il dolce augurio, scritto sulla carta della caramella al limone, con cui la direttrice artistica Valentina Pescetto ha voluto personalmente omaggiare ciascuno spettatore), il 20 e 21 giugno ha esordito Carlo Decio. Ha intrattenuto il pubblico, accorso nonostante la canicola estiva (specie durante la replica delle 18, pur mitigata da un venticello piacevole), con un “Otello pop tragedy”, la cui leggerezza e godibilità non hanno tradito la promessa del titolo. Bravo, Decio, in total black, e generoso nel prodigarsi sotto un sole ancora scottante per quasi due ore di spettacolo. Ci ha restituito la trama e l’intreccio della tragedia shakespeariana, riuscendo anche a ritagliarsi drammaturgicamente delle pause e degli skakespeariani a parte, in cui bere un sorso d’acqua o, timido, arrischiarsi in considerazioni socio politiche (inevitabile, ad esempio, il cenno alla questione raziale o contro la violenza di genere). A suo sfavore, però, ha giocato una leggerezza forse un po’ troppo pop. Pur legittima, specie in questa situazione “post” Covid, lo ha però portato e cercare più una caratterizzazione fisica del singolo personaggio (necessaria, specie in un monologo, in cui lo stesso attore deve dar voce a tanti ruoli diversi), che un suo approfondimento psicologico. Quel che ne è sortita è stata una carrellata di godibilissime figurine bidimensionali, ben disegnate e auto parlanti, ma in fondo prive di quel pathos che sustanzia la tragedia. Un esempio: uno dei passaggi più strazianti e autentici di Otello è il momento in cui, accingendosi a strngolare Desdemona, viene colto dalla mostruosità dell’irreversibilità dell’azione, che sta per compiere: di essa non si fa il minimo cenno nell’adattamento di Carlo Decio.

L'immagine può contenere: 1 persona, in piediSabato scorso, 27 giugno, è stato ancora Shakespearea pezzi, questa volta, come a pezzi erano stati i Tragici, passati sempre sotto alla penna del drammaturgo e regista Omar Ndjari. A portare in scena questo Shakespeare a pezzi, il versatile Enrico Ballardini, attore (anche) con gli Odemà oltre che cantautore (come si è potuto apprezzare, non ultimo, nella serata d’inaugurazione al Menotti). In scena solo pochi oggetti a dargli manforte e intralcio: i bisticci col leggio, i libri a terra, in cui ha gigionescamente rischiato d’inciampare in più occasioni o l’immancabile amletico cranio, qui, con tanto di scanzonatissima piuma fucsia o, ancora, la stola nera a trasformarlo in un grottesco comicissimo Enrico Terzo, così vertiginosamente simile alle sorelle fatali dell’acclamato Macbettu di Alessandro Serra. E poi il computer, a creare quel minimo di colonna sonora, certo elemento emozionalmente plastico e fecondo, pur con tutte le gag del caso, sapientemente giocate ad arte. Perché se c’è una cosa, che a teatro paga, più ancora della pulizia del gesto o della parola, è la sublime abilità di saper innescare empatia e complicità col pubblico: che volentieri “perdona” anche le sbavature di colui di cui avverte l’autenticità. Ma in Ballardini nessuna sbavatura: solo il gioco al grottesco, l’arguzia, la schermaglia… e poi l’affondo – con quella perfetta tempestica e meravigliosa partitura sincopata, cifra già degli Odemà. E il pubblico esplode in ripetuti applausi e incontenibili risate, esterrefatto come la farfalla trafitta dallo spillone e che pure non può non riconoscere la scaltrezza di tanta maestria. E se pensiamo che tutto questo riesce a farlo, tenendo una esilarante e godibilissima lezione niente di meno che sul Bardo (vita, opere, ipotesi e… omissioni), sembra impossibile non pensare a quanto talento, sì, ma anche a quanta scuola, capacità di ascolto, professionalità e perizia debbano esserci dietro alla sua magnificamente ostentata nonchalance.

E il prossimo week end ancora factory32: con l’attore e cantautore Martino Corti (visto di recente al Castello Sforzesco nella favola ecologica VIVI COME IL MARE Pièce per due delfini) ne Il coraggio della verità.