Gli spassosi equivoci d’impenitenti simpatici bugiardi

 “Sinceramente bugiardi”, testo di Alan Ayckbourn nella traduzione di Luigi Lunari e per la regia di Antonio Sixty: eccolo, lo spettacolo con cui ho inaugurato la ripresa delle visioni teatrali in questo incipit di 2014.

Un testo decisamente agile, una commedia arguta e brillante, che riesce ad intrattenere il pubblico per un paio d’ore in perfetto stile british. A metà fra commedia degli equivoci e compassato humor inglese, racconta – in divertito intreccio – la storia di due coppie: Ginny e Greg, giovani inesperti ed entusiastici neofiti dell’amore da fidanzatini, e Sheila e Philip, coppia collaudata e forse un po’ stanca, ma che si scopre capace di un insospettabile spirito di ripresa… nel finale alla ‘molto rumore per nulla’, dove ‘tutto è bene, quel che finisce bene’. Il tutto con ritmi e sapori decisamente da commedia brillante, sostenuti da attori bravi e generosi nel prestarsi ad una drammaturgia forse un po’ distante da certe corde nostrane. Perché se penso al ‘triangolo’ e alla morale un po’ falsamente perbenista del “Si fa, ma non si dice”, sarà la suggestione di averlo casualmente rivisto giusto la sera precedente o i ricordi di studi giovanili, ma a me viene in mente “Il berretto a sonagli” e tutta quella temperie del teatro e della cultura italici, che proprio non ce la fa ad affrontare un tema potenzialmente anche ilare e leggero come potrebbe esserlo questo – per alcuni aspetti -, senza infarcirlo di riflessioni esistenziali, culturali, socio antropologiche e dio solo sa cos’altro.

Nulla di tutto ciò, invece, in “Sinceramente bugiardi”, dove l’ossimoro del titolo – forse quello solo – sembra strizzare l’occhio alla consistenza della verità insita nell’apparente minuetto di bugie: perché se il pur godibilissimo complicarsi di equivoci ce li farebbe definire ‘bugiardi’ – la giovane Ginny/Vanessa Korn, per prima, e, per contraltare, l’agé Philip/Marco Balbi dell’altra coppia – o, al contrario, ‘creduloni’ – tanto il fidanzato Greg/Carlo Roncaglia, che l’ignara coniuge Sheila/Gianna Coletti -, di fatto un fondo di sincerità alla fine ce lo svelano: nel ‘sapere’ eppur ‘dissimulare’ – di Sheila, a chiosa, e, forse, dello stesso Greg… – o nel tentativo di ‘redimenrsi’ – di Ginny – o, ancora, nel restare a ‘becco asciutto’ di Philip, che pur ci si mostra come un navigato seduttore… Fantastica, in tal senso, l’immagine restituitaci subito prima della calata del sipario – e che ci rimane impressa sulla retina, quasi a sugello e summa dell’intero questionare -: le due coppie – i due giovani sulla destra, dove idealmente era il loro nido d’amore, mentre gli altri due a sinistra, vicino al tavolo-ring delle loro bonarie scaramucce quotidiane, alla “Casa Vianello”… – fotografate come nell’istantanea di un fotogramma e, mentre gli altri sorridono, il solo a mostrare tutto il suo amaro disincanto è il vecchio Philip, quello che –al fin – ha fatto proprio lui la parte se non del ‘cornuto’, di certo del ‘mazziato’. Regia agile e serrata, quella di Syxty, nel creare situazioni versatili e nel caratterizzare i personaggi con tic e gesti che si ripetono: dal teatrino del vassoio continuamente passato di mano – quasi freudiano prodromo di quella patata bollente che nessuno vuol tenere – allo sketch dei bicchierini di sherry bevuti da Philip, che trangugia anche quello degli altri, nella frenesia della rimozione; dalla freddura sull’albero – che dà stabilità, in quanto ‘irremovibile’ – ai gesti tipicamente da teatro comico quali lo sputare ciò che si stava bevendo, al sentire qualcosa che non si sarebbe voluto ascoltare, la mimica a gesti larghi, nel tentativo di suggerire senza poter parlare, o il lasciarsi sfuggire di mano oggetti quali diversivo ad un discorso sgradito. Deliziosa anche la scenografia nel tratteggiare le atmosfere inglesi attraverso giardini incantati – con tanto di figure di animali dalle sembianze antropomorfe, che sembrano usciti dai disegni di un illustratore di favole per bambini – e la ricostruzioni degli interni all’insegna del giallo – gialla la tazza del té del risveglio di Ginny, nella sua casa, come giallo è il telefono, ancora di quelli a disco, e giallo pure il cuscino su cui s’intrattiene Greg nel discorso sulle pantofole… -: che dice subito stivali o mantellina ‘da pioggia’ e – per metonimia – la stessa ‘Londra’.

Di certo una pièce senza particolari velleità di ‘impegno’, questa “Sinceramente bugiardi”: eppure con la spassosa e compiaciuta vèrve di poter intrattenere un pubblico affezionato a quel genere e che bisbigliava, divertito, presagendo questa o quell’evoluzione della trama: ancora fino al 10 gennaio, al Litta.

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